Tra pubblico e privato il paradosso post-femminista
di Carla Collicelli da Il Riformista del 31 gennaio 2012

Da un lato un pullulare di interventi ed uno scoppiettio di dati e di proposte da parte di consessi molto ampi e nell'ambito di platee molto ben frequentate. Solo per citare tre casi, tra i tanti, delle ultime due settimane: la Fondazione Nilde Iotti, con le Biografie delle donne del 900, l'Onu con la Convenzione per l'eliminazione delle discriminazioni contro le donne, l'associazione Pari o Dispare con l'incontro della Ministro Fornero e di Italia Lavoro. Dall'altro lato la sensazione che i miglioramenti siano scarsi e lenti, soprattutto per quanto riguarda la conquista di un ruolo pieno ed autorevole nella società, nell'economia e nella politica. Come dice Italia Lavoro nel suo dossier presentato al Senato il 26 gennaio: "Una grande risorsa non ancora pienamente utilizzata".

L'ultima ricerca Censis ci dice che secondo l'82 per cento degli uomini ed il 79 per cento delle donne il ruolo femminile è decisamente migliorato in Italia negli ultimi 25 anni. 
Ma è davvero così? Le tante iniziative che anche in questo inizio di anno si sono succedute sul tema rimandano segnali quanto meno ambigui: da un lato un pullulare di interventi ed uno scoppiettio di dati e di proposte da parte di consessi molto ampi e nell'ambito di platee molto ben frequentate. Solo per citare tre casi, tra i tanti, delle ultime due settimane: la Fondazione Nilde Iotti, con le Biografie delle donne del 900, l'Onu con la Convenzione per l'eliminazione delle discriminazioni contro le donne, l'associazione Pari o Dispare con l'incontro della Ministro Fornero e di Italia Lavoro. Dall'altro lato la sensazione che i miglioramenti siano scarsi e lenti, soprattutto per quanto riguarda la conquista di un ruolo pieno ed autorevole nella società, nell'economia e nella politica. Come dice Italia Lavoro nel suo dossier presentato al Senato il 26 gennaio: "Una grande risorsa non ancora pienamente utilizzata". Lasciamo per il momento da parte l'area della vita privata, dove il peso delle donne si è consolidato e rafforzato nel tempo, e dove, però, la dilagante "femminilizzazione" dei vissuti e degli stili di vita familiari ha compensato, ed in parte aiutato, il processo di indebolimento del ruolo maschile, e con esso della normatività e della autorità sociale, origine di altri squilibri ed effetti perversi. Aspetto questo che richiederebbe una trattazione a se stante. Nell'ambito della vita pubblica il panorama della presenza femminile risulta davvero sconsolante. I tassi di occupazione sono molto bassi, specie nel sud (rispettivamente 46,1 per cento in Italia e 30,5 per cento nel Sud). La presenza delle professioni intellettuali è crescente (36 per cento dei medici, 26 per cento dei magistrati, 33 per cento dei manager, 44 per cento degli addetti alla ricerca e sviluppo, 47 per cento della Pubblica amministrazione), ma diminuisce sensibilmente mano a mano che si sale nella graduatoria delle posizioni di responsabilità e di dirigenza. Mentre molto più forti sono le presenze femminili nel terziario meno qualificato (78 per cento delle pulizie) o in quello in fase di dequalificazione (67 per cento in sanità e assistenza, 75 per cento nell'istruzione). Soprattutto in politica ed in economia le donne non riescono a superare i livelli bassi ai quali sono relegate, soprattutto per quanto riguarda la rappresentatività numerica e nonostante le eccezioni di tutto rispetto che potrebbero far pensare il contrario. Se, cioè, abbiamo importanti donne leader sindacali e confindustriali, nonchè al momento tre donne ministro in posizioni autorevoli, rimane il fatto che le donne parlamentari non superano il 20 per cento del totale e tra i legislatori, dirigenti e imprenditori la componente femminile non va oltre il 25 per cento. Il mondo dei mass-media riflette lo squilibrio facendo apparire ed intervenire le donne a proposito di spettacolo, moda, bellezza, estetica (38 per cento dei casi), violenza, criminalità e sciagure (28 per cento), giustizia, diritti, sicurezza (13 per cento), e solo raramente quando si parla di lavoro (4 per cento) o formazione (1,5 per cento). Nono solo quindi è debole la consapevolezza della necessaria integrazione sistemica tra sfera del privato e sfera pubblica, e non solo la cosiddetta conciliazione è ancora da costruire. Siamo di fronte ad un vero paradosso "post-femminista", dal momento che la rivendicazione di un ruolo sociale dignitoso sembra scaricarsi quasi esclusivamente nel sovraccarico del lavoro di cura e nella supplenza paterna. Tra gli elementi che remano contro il tanto auspicato e declamato pieno riconoscimento femminile e l'abbattimento degli ostacoli che vi si frappongono non vi è dubbio che un ruolo fondamentale sia giocato dalla mancanza di una vera strategia della crescita sociale, che implicherebbe la massima valorizzazione di tutti i beni pubblici. I vertici della nostra vita collettiva sono spesso ancora fermi su modelli di personalizzazione e verticalizzazione, di formalismo e di schiacciamento sul presente, nell'ambito dei quali una valorizzazione sociale allargata non trova posto. Anche se dovrebbe apparire ormai evidente che la fragilità economica e geopolitica del paese dipende anche da questa esclusione e che dalla "danza immobile" delle cifre e delle proposte bisognerebbe passare alle realizzazioni positive.   Carla Collicelli

01 febbraio 2012

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