In questi dieci anni la legge 38/2000 ha fatto del bene al nostro Paese , ha fatto crescere la cultura del sollievo dal dolore e della eguaglianza della dignità del fine vita. Ma persistono diverse criticità che confermano, a mio avviso, la necessità di avere nel Ministero della Salute un Ufficio dedicato alle cure palliative ed alla lotta al dolore per applicare la legge. Ufficio che negli anni passati aveva dimostrato una efficace utilità
E’ un triste compleanno quella della legge 19 marzo 2010 “Disposizioni per l’accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore”. Tante persone stanno morendo per colpa di un virus maligno che non concede ai malati l’ultimo saluto dei propri cari.
Questa solitudine, questa lontananza dai propri cari, seppure alleviata dalla presenza affettuosa dei medici ed infermieri, è l’aspetto che più colpisce e ferisce il nostro animo in questo drammatico momento.
La solitudine è proprio ciò che vogliono evitare le cure palliative, il pallium, il mantello che avvolge il morente con l’amorevolezza delle relazioni umane e la cura della medicina.
In questi dieci anni la legge 38/2000 ha fatto del bene al nostro Paese , ha fatto crescere la cultura del sollievo dal dolore e della eguaglianza della dignità del fine vita.
Ha preso in carico tanti bambini e le loro famiglie costruendo politiche innovative, le cure palliative pediatriche iniziate dalla Fondazione Silvia Lefevre, come ho potuto ascoltare nel convegno del 21 gennaio scorso svoltosi all’ospedale Mayer di Firenze. Ha esteso la Rete degli Hospice e della assistenza domiciliare, ha avvicinato persone alle strutture per combattere il dolore severo , ha formato molti operatori sanitari.
Essa è stata il frutto della bella politica basata sull’ascolto degli operatori, dei volontari, di chi da tempo lavora sul campo. Una legge frutto del dialogo parlamentare in cui si sono confrontati diversi punti di vista culturali e valoriali, che fu votata all’unanimità anche se da parte della sottoscritta e di altre parlamentari rimase la contrarietà per la mancata soluzione del problema del riconoscimento della professionalità del personale che svolgeva già da anni attività nelle strutture di cure palliative e la critica all’inadeguato finanziamento.
La legge 38/2000 ha una storia che inizia con l’avvio degli hospice da parte di medici, giornalisti e volontari. Penso a Vittorio Ventafridda, Gigi Ghirotti, Virgilio Floriani. Ricordo inoltre una donna infermiera e poi medico , Cicely Saunders che fondò nel 1967 il San Cristofer Hospice, la prima struttura di cura palliativa al mondo.
Sul piano legislativo si iniziò con la legge istitutiva degli hospice varata da Rosy Bindi, gli ospedali senza dolore e l’istituzione della giornata nazionale del sollievo voluti dal Ministro Umberto Veronesi , il decreto per la semplificazione della prescrizione dei farmaci antidolore, il riconoscimento delle cure palliative pediatriche, il rifinanziamento della rete degli Hospice insieme al regolamento per la definizione degli standard dei medesimi e la istituzione di una Commissione sulla qualità delle cure e la dignità del fine vita che ebbi modo di realizzare da Ministra della Salute.
L’applicazione della legge vede molte criticità messe in rilievo dalla Relazioni Ministeriali e dalle indagini attivate dall’Osservatorio istituto presso la Fondazione Gigi Ghirotti realizzate attraverso l’ascolto delle persone con un questionario distribuito nelle strutture ospedaliere, negli studi medici e nelle farmacie(cui ho avuto l’onore di collaborare).
Le criticità sono: la scarsa conoscenza della legge da parte delle persone, la ancora inadeguata formazione del personale sanitario e del volontariato per il quale la legge prevede specifici corsi di formazione, la disomogeneità territoriale della rete degli hospice, il breve tempo trascorso negli hospice da parte delle persone che sono nella parte finale della vita, la disomogenea ed inadeguata diffusione della assistenza domiciliare e delle cure palliative pediatriche. La scarsa diffusione della cultura della lotta contro il dolore severo e dell’utilizzo delle strutture a questo dedicate.
Si conferma, a mio avviso, la necessità di avere nel Ministero della Salute un Ufficio dedicato alle cure palliative ed alla lotta al dolore per applicare la legge, Ufficio che negli anni passati aveva dimostrato una efficace utilità. Va riconosciuto che in questa legislatura il Parlamento ha riservato una rinnovata attenzione al tema ad esempio varando la norma che riconosce la professionalità degli operatori che hanno svolto attività nelle strutture di cure palliative.
La promozione della dignità del fine vita, che nessuno resti solo nella fase finale della vita, che si combatta per tutti e tutte il dolore severo: è la più grande sfida che sta di fronte al valore della eguaglianza.
La medicina delle cure palliative è un servizio alla salute ed al benessere delle persone Non dunque una medicina per il morente e per aiutare a morire ma una medicina per l’uomo che rimane una persona vivente fino alla morte.
La tragedia che stiamo vivendo dimostra il grande bene rappresentato dal Servizio Sanitario Pubblico, Universalistico e Solidale. Che dovrà avere grandi investimenti orientato da una concezione della salute come promozione del benessere, come attivazione delle competenze delle persone, come relazione di cura e presa in carico della persona attraverso una conversazione tra medico e paziente, con un forte investimento sulla professionalità degli operatori e sulla promozione della salute come indicatore di qualità di tutte le politiche, la salute in tutte le politiche, attraverso una visione globale della medesima.
Per questo futuro da costruire della sanità pubblica, il paradigma delle cure palliative - una medicina per l’uomo che rimane una persona vivente fino alla morte - può aprire nuovi orizzonti e soprattutto indica che la priorità è sempre la dignità della persona, la sua vita e la sua salute.
Livia Turco
19 marzo 2020