Il Servizio Civile Universale e obbligatorio sarebbe una grande politica che aiuta la promozione delle competenze dei giovani nei beni comuni, a costruire concretamente la comunità e il welfare universalistico e comunitario. Darebbe un volto nuovo alla democrazia e avrebbe un grande valore simbolico. Si può tornare a discuterne?
Caro direttore, ripensare e rilanciare il Servizio Civile Universale è l’interessante proposta che un folto gruppo di personalità il 7 aprile scorso ha illustrato su questo giornale in dialogo con lei, trovando anche un riscontro positivo nelle parole del ministro competente e del presidente del Consiglio. La pandemia ha dimostrato la necessità di grandi competenze per il bene comune. Di qui la proposta di rilanciare e ripensare il Servizio Civile come una forza nazionale giovanile con la missione di aiutare le fasce deboli della popolazione a fianco della Protezione Civile e di altre organizzazioni. Una forza dotata di una adeguata formazione. E costruita pensando anche alla fragilità del pianeta. In futuro altre emergenze economiche, ambientali e sanitarie saranno inevitabili. Condivido il punto di fondo: la società che dobbiamo curare e reinventare ha bisogno di molte competenze che promuovano il bene comune.
Il dramma dei nostri vecchi che muoiono nelle case di riposo, le grandi lacune della medicina territoriale nonostante l’Organizzazione mondiale della Sanità l’abbia indicata e definita in modo ben preciso nella Conferenza di Alma Ata nel 1978, come 'benessere della persona e della comunità', dimostrano che ci vuole un cambio di paradigma e insieme alle risorse pubbliche sia necessario costruire una 'comunità competente' e attiva per promuovere quel fondamentale bene comune che è la salute.
Se questa 'comunità competente' è una componente fondamentale del welfare che dobbiamo ricostruire, cioè se la questione è la mobilitazione e la promozione delle competenze dei cittadini per la promozione dei beni comuni, allora bisogna essere consapevoli che non basta attribuire al meraviglioso volontariato, alla capacità di dedizione dei cittadini, alle organizzazioni del Terzo settore il compito di sollecitare in tale direzione. Bisogna mettere in discussione, scardinare, anche attraverso un dibattito pubblico, la scansione del tempo che caratterizza la nostra società e la considerazione pubblica riconosciuta ai vari lavori e alle forme di impegno sociale. Oggi abbiamo una scansione del tempo che considera la cura delle persone un tempo privato, il lavoro retribuito il tempo pubblico che fonda diritti e cittadinanza ed alimenta la nostra democrazia, il tempo della gratuità e del dono come tempo onorato e anche riconosciuto nella Costituzione nella sua funzione di sussidiarietà rispetto al pubblico e in talune leggi e politiche (La legge 328/2000 sulle politiche sociali con la pratica della co-progettazione e le recente riforma del Terzo Settore), ma confinato in un cono d’ombra affidato al buon cuore dei cittadini.
Se, dunque, il tema cruciale oggi è promuovere la 'comunità competente' per la realizzazione dei beni comuni, il tempo della cura delle persone, il prendersi cura delle persone deve essere riconosciuto anche come tempo pubblico, ingrediente della democrazia e motore della cittadinanza.
È compito della Repubblica, in osservanza all’articolo 2 della Costituzione, promuovere la rilevanza pubblica del tempo della cura. Sollecitare le persone a prendersi cura degli altri. Aiutare con politiche pubbliche chi aiuta. Viviamo in un mondo interconnesso e l’esperienza della pandemia ci ha fatto e ci fa vivere la consapevolezza del legame che ci unisce l’uno e l’una agli altri e alle altre sul piano globale.
Bisogna cogliere questa esperienza di vita e aiutare le persone a elaborare questa scoperta della interconnessione in modo positivo, come bisogno, attitudine, competenza a costruire comunità e legami sociali. Non è scontato che l’esperienza della interdipendenza che viviamo in questo dramma si traduca in attitudine e competenza a costruire legami sociali e a prendersi cura delle persone.
Ci vogliono esempi, buone pratiche, ci vuole il sollecito del volontariato e delle Ong. Ma ci vuole anche un esempio e un sollecito da parte delle istituzioni pubbliche. Per questo ritengo che questo sia il momento giusto per discutere di un rilancio e di una riforma del Servizio Civile Universale là dove per universale anche io – come lei, direttore – intendo obbligatorio. Chiedere ai giovani cittadini e cittadine di dedicare un tempo della loro vita alla cura delle persone. Un Servizio Civile Nazionale coprogettato e cogestito dallo Stato e dalle istituzioni pubbliche con le realtà del volontariato e del Terzo settore in un contesto europeo. Sottolineo: coprogettato e cogestito su un piano di parità. Avrebbe il vantaggio di formare i giovani alla promozione dei beni comuni, ad acquisire competenze ed a formarsi un abito mentale che saranno loro utili per tutta la vita. Favorirebbe la solidarietà tra le generazioni che è un bene prezioso. Aiuterebbe finalmente a superare la distinzione tra i sessi nella cura delle persone nel momento in cui il tempo della cura diventa un tempo pubblico e condiviso nel suo valore universale.
Il Servizio Civile Universale e obbligatorio sarebbe una grande politica che aiuta la promozione delle competenze dei giovani nei beni comuni, a costruire concretamente la comunità e il welfare universalistico e comunitario. Darebbe un volto nuovo alla democrazia e avrebbe un grande valore simbolico. Si può tornare a discuterne?
Livia Turco
Avvenire (17 aprile 2020)
18 aprile 2020