Sono giovani e donne a fare la rivoluzione in nome del futuro
di Umberto De Giovannangeli da L'Unità del 13 febbraio 2012

Il Premio Nobel per la Pace 2011 racconta della rivolta nello Yemen e della Primavera araba: "Alla comunità internazionale chiediamo coraggio"

Ogni sua parola racconta l'orgoglio di chi sa di aver contribuito a scrivere una pagina di Storia. E di averlo fatto come «yemenita, giovane donna, madre e musulmana». La storia di un popolo che ha avuto il coraggio, pagando un indicibile tributo di sangue e sofferenza, di ribellarsi al padre-padrone dello Yemen, Ali Abdullah Saleh. Orgoglio e determinazione. Dolore e desiderio di portare a compimento la «Primavera yemenita». A parlare è Tawakkul Karman, Premio Nobel per la Pace 2011, protagonista della Primavera araba yemenita, attivista per i diritti umani, giornalista. In Italia nei giorni scorsi su invito del Partito Radicale e dell'Associazione «Non c'è pace senza giustizia», la Nobel per la Pace yemenita, ha incontrato le massime autorità dello Stato, a cominciare dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. A conclusione del suo tour italiano, Karman ha accettato di fare il punto con l'Unità degli eventi che hanno segnato e continuano a segnare l'intero Medio Oriente e il Nord Africa, a partire dalla martoriata Siria, insistendo su un dato che riguarda il suo Paese ma che può valere anche per Tunisia ed Egitto: «A fare la rivoluzione in Yemen - dice - sono stati i giovani e le donne. E questo è un messaggio di speranza, perché il loro è uno sguardo proiettato nel futuro». Le notizie che giungono dalla Siria sconvolgono e indignano Tawakkul Karman. A l'Unità ribadisce quanto chiesto al premier Mario Monti e al titolare della Farnesina, Giulio Terzi: l'Italia, così come gli altri Paesi della comunità internazionale, proceda all'espulsione dell'ambasciatore siriano, al richiamo del proprio rappresentante diplomatico a Damasco e al congelamento dei beni di Bashar al- Assad, e di quelli dello yemenita Ali Abdullah Saleh. Karman ha parole durissime contro Mosca e Pechino per il veto esercitato al Consiglio di Sicurezza: «Grazie a loro - denuncia un tiranno ha garantita l'immunità laddove occorrerebbe unirsi e creare una rete globale di popoli». Quanto al suo Paese, la giovane Nobel per la Pace non ha dubbi. E rilancia la sua sfida di libertà: «Vogliamo giustizia e democrazia, e la otterremo attraverso una rivoluzione pacifica». Negli incontri pubblici e in quelli politici avuti nei giorni scorsi in Italia, lei ha molto insistito sulla «lezione» che i giovani protagonisti delle Primavere arabe hanno fatto propria e su questa base hanno condotto la loro battaglia di libertà. Qual è questa lezione che lei proietta anche nei rapporti tra Oriente e Occidente? «Noi giovani della Primavera araba abbiamo capito che quello che impedisce di realizzare la fratellanza fra Oriente e Occidente sono i governanti dispotici, corrotti e fallimentari. Questi governanti sono causa di una guerra interna ai nostri popoli e rappresentano un minaccia per la stabilità internazionale». Lei ha più volte fatto riferimento ad una «fase due» della rivoluzione yemenita. Di cosa si tratta? «La nostra rivoluzione comincia con la caduta del dittatore. Ora siamo entrati nella seconda fase, una fase di transizione. Occorre cambiare i vertici delle forze di sicurezza ed eliminare la corruzione. Non sarà facile, ma non ci interessa liberarci solo di un despota. Vogliamo giustizia e democrazia e la otterremo attraverso una rivoluzione pacifica. Ci sarà un solo candidato alle elezioni secondo l'Accordo di Riad. Ma noi non lo permetteremo, se il candidato garantirà immunità per gli assassini». Di questa rivoluzione le donne hanno avuto un ruolo da protagoniste. «È vero e ne sono profondamente orgogliosa. In questa rivoluzione la donna ha assunto ruoli di guida. Donne sono state uccise per la strada, assassinate perché erano guide. Saleh diceva che dovevamo restare a casa. Ma la nostra risposta è stata: prepara la tua valigia, perché le donne faranno cadere il tuo trono. Inizialmente eravamo solo tre donne giovani. Siamo state-derise e arrestate. Temute. Gli uomini erano stupiti della nostra presenza e noi stesse della nostra forza. Le donne sono coraggiose e generose:non combattono mai solo per sé, lo fanno per tutta la comunità. Per quanto mi riguarda, non ho mai guardato a me stessa come donna ma come essere umano, io devo essere rispettata perché sono un essere umano, non perché sono donna. Non crediamo alla tradizione che subordini la donna all'uomo. La donna ha gli stessi diritti dell'uomo e deve partecipare alla vita sociale e politica allo stesso modo dell'uomo. La nostra è stata una lotta per i diritti di tutti e il dittatore è rimasto stupito, spiazzato soprattutto dal ruolo delle donne». Quale ruolo gioca nelle vicende yemenite la religione? «Nel mio Paese tradizioni mettono in pericolo la libertà delle donne. Molti religiosi danno interpretazioni personali e sbagliate dell'Islam. I governi non fanno niente perché questo serve loro a mantenere lo status quo". A New York, lei ha incontrato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Cosa chiede alla Comunità internazionale? «Di non continuare a fare il gioco del satrapo che da decenni tiene in ostaggio un intero popolo. Se da novembre ad oggi nulla è cambiato nel mio Paese, e un regime continua a comportarsi da criminale è anche perché c'è chi, penso soprattutto agli Usa e ai paesi del Golfo, hanno concesso a Saleh di fare il proprio comodo, prima continuando a reprimere nel sangue la rivoluzione pacifica ed ora permettendogli di partire per gli States, senza problemi. Invece di curarlo, dovrebbero arrestarlo e processarlo per crimini contro l'umanità. Non smetterò mai di denunciarlo: Saleh è un criminale e va punito. La gente muore ogni giorno, non ha gas né acqua, e tutto questo solo perché lotta per la libertà. Se davvero vuole comportarsi da "mondo" libero, civile, democratico, l'Occidente ha una sola cosa da fare: congelare gli asset finanziari di Saleh e conferirli al popolo yemenita ed al governo di transizione». Lei ha avuto parole durissime contro Russia e Cina per il loro veto al Consiglio di Sicurezza alla risoluzione che condannava la repressione messa in atto dal regime di Bashar al-Assad... «Cina e Russia hanno la responsabilità umana, politica, morale dei massacri in Siria. Grazie a loro un tiranno ha garantita l'immunità. E una vergogna perché al-Assad è peggio di Gheddafi. L'immunità é contro i principi su cui sono state fondate le Nazioni Unite. Occorre fare il vuoto attorno al regime di Damasco e in questo senso è importante quanto deciso oggi (ieri, ndr) dalla Lega Araba. Il mondo non può essere complice di chi ha dichiarato guerra al suo popolo». I Fratelli Musulmani hanno vinto le prime elezioni del dopo-Mubarak in Egitto; Ennahda ha fatto altrettanto in Tunisia. La Primavera araba è sfiorita in un «Inverno islamista»? «Solo chi non conosce al storia di questi Paesi può meravigliarsi di quei risultati elettorali. L'Islam politico ha un radicamento sociale che non può essere cancellato dall'oggi al domani. Per anni ha rappresentato agli occhi della gente, soprattutto degli strati più deboli, un punto di riferimento alternativo. Ma non hanno ricevuto una delega in bianco. In Egitto come in Tunisia, in Yemen e un domani in Siria, i partiti islamisti dovranno tener conto di quelle istanze di libertà che sono state alla base delle Primavere arabe. Indietro non si torna. Non abbiamo combattuto regimi corrotti e sanguinari per vedere nascere altre dittature, comunque mascherate. Quanto all'Occidente, ai suoi leader come alle opinioni pubbliche, dico: non abbiate paura, non demonizzate l'Islam politico. La democrazia non si costruisce in un giorno. Ascoltate la voce del popolo yemenita e di quelli arabi. Non dimenticate i nostri giovani, le donne. Riconoscete i nostri successi e aiutateci perché siamo il futuro. Abbiamo già vinto la prima battaglia in molti Paesi. Abbiamo distrutto un vecchio ordine, ma ora dobbiamo costruire il nuovo ordine, ma ci vorrà tempo. Di certo noi non ci tireremo indietro». Chi è Donna, madre e musulmana che sfida i tiranni e il potere Trentatré anni - è la più giovane donna ad avere ricevuto il Nobel per la pace e la prima donna araba ad essere stata insignita del prestigioso riconoscimento - tre figli, esponente dell'ala moderata del partito di opposizione «Al lslah», Tawakkul Karman è fondatrice di Women Without Chains, «Donne senza catene», associazione di giornaliste contro la guerra, e dello «Youth Revolution Coundl», entità che si propone di collegare la galassia delle organizzazioni progressiste nello Yemen. Quando è scoppiata la Primavera araba, è diventata una delle icone del movimento in Yemen, rischiando più volte la vita e finendo anche in carcere. Nel 2011 è stata insignita - con E Johnson Sirleaf e L. Gbowee, rispettivamente presidente della Liberia e avvocata, sempre in Liberia , impegnata nella difesa dei diritti delle donne - del Premio Nobel per la pace «per la lotta non violenta in favore della sicurezza delle donne e del loro diritto a partecipare al processo di pace».   Umberto De Giovannangeli

14 febbraio 2012