25 aprile. Le donne nella Resistenza

La «Resistenza taciuta». Non si deve nascondere che, per decenni, a livello storiografico ed istituzionale l’apporto delle donne alla Resistenza non è stato mai adeguatamente riconosciuto, rimanendo relegato ad un ruolo secondario, che scontava "di fatto" una visione in cui anche la Lotta di Liberazione veniva "declinata" al «maschile».

 

Le donne medaglia d'Oro


Le Donne della Resistenza. Determinante, non marginale, ma per un lungo periodo sottaciuto e ridimensionato. Questo in estrema sintesi il ruolo delle "Donne Resistenti". Le loro "storie" ci parlano del loro impegno come "staffette" (con funzioni di collegamento e di passaggio delle informazioni), dell’inquadramento nelle formazioni resistenziali come "Partigiane combattenti", molte furono responsabili di alto livello.

Per non parlare del loro apporto nella gestione organizzativa del Movimento di Liberazione. Le donne si occupavano della stampa dei materiali di propaganda, preparavano documenti falsi e luoghi di ricovero per i partigiani, all’occorrenza svolgevano funzioni infermieristiche, attaccavano i manifesti e distribuivano i volantini, trasportavano e raccoglievano armi, munizioni, esplosivi, indumenti, medicinali viveri.

Ma ricordiamo anche il contributo di quante attuarono la Resistenza civile femminile, che simbolicamente prese il via con lo "sciopero del pane" di Parma (16 ottobre 1941) quando, per la prima volta, centinaia di donne misero in gioco il loro posto di lavoro e la stessa libertà personale, manifestando. E partendo dallo "sciopero del pane" si arriverà ad "incrociare le braccia" sul lavoro, come nel caso del il 1º maggio 1944 ad Imola.

Troviamo la presenza femminile, in numero cospicuo, anche nei SAP (Squadre d’Azione Partigiana) e nei GAP (Gruppi di Azione Partigiana).

Non possiamo poi non citare i "Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai Combattenti per la libertà" (GDD) fondati, nell’Italia occupata, a partire novembre 1943. Sono la prima grande e unitaria organizzazione femminile, di matrice politica, ma non partitica. Questi gruppi, «aperti a tutte le donne di ogni ceto sociale e di ogni fede politica e religiosa, che vogliano partecipare all’opera di liberazione della patria e lottare per la propria emancipazione», operano nelle campagne, nelle città, nelle scuole nelle fabbriche, negli uffici, progettando atti di sabotaggio alla produzione di guerra (in larga parte destinata alla Germania), supportano le brigate partigiane, organizzando le interruzioni delle vie di comunicazione e l’occupazione dei depositi alimentari.

Sono agitatrici nei luoghi di lavoro ( con l’obbiettivo di realizzare scioperi contro i nazifascisti) e approntano una rete di soccorso e di assistenza per "sbandati", partigiani e le famiglie dei deportati, dei caduti e dei carcerati. I GDD, che vengono riconosciuti ufficialmente dal CLNAI ("Comitato di liberazione dell’Alta Italia"), giungeranno a contare tra le proprie fila ben 70.000 iscritte.

I valori e i caratteri del mondo femminile, confluirono così nella nostra Resistenza, arricchendola con le sue specifiche caratteristiche (tra tutte quella caparbia capacità di amore e di sopportazione della sofferenza), facendola diventare, sia in maniera palese che inconscia, un "banco di prova" nel percorso dei singoli e collettivi desideri di emancipazione.

La «Resistenza taciuta». Non si deve nascondere che, per decenni, a livello storiografico ed istituzionale l’apporto delle donne alla Resistenza non è stato mai adeguatamente riconosciuto, rimanendo relegato ad un ruolo secondario, che scontava "di fatto" una visione in cui anche la Lotta di Liberazione veniva "declinata" al «maschile». I dati ufficiali della partecipazione femminile alla Resistenza hanno scontano inoltre criteri di riconoscimento e di premiazioni puramente militari, non prendendo in considerazione i "modi diversi", ma non per questo meno importanti, con cui le donne parteciparono ad essa.

Per questi motivi, possiamo parlare di «Resistenza taciuta».

Secondo le cifre dell’ANPI sono state censite:
 35.000 le donne che operavano come combattenti
 20.000 le patriote, con funzioni di supporto
 70.000 tutto le donne organizzate nei GDD
 4.653 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti
 2.756 il numero delle deportate nei lager tedeschi
 2.900 le donne giustiziate o uccise in combattimento
 512 le commissarie di guerra
 1.700 le donne ferite...

...ma come abbiano già riferito, il totale è gravemente in "difetto".

 

Fonte: Anpi 
 

23 aprile 2020