Quanto previsto nel decreto Rilancio fermerà lo sfruttamento dei braccianti? E’ un primo passo molto importante, e da non sottovalutare viste le distanze esistenti nel Governo, pur non rappresentando ancora una vittoria vera.
Ho scritto battaglia, non vittoria. Perché le parole sono importanti. Quell’articolo presente nel decreto Rilancio titolato “emersione di rapporti di lavoro” è frutto di una battaglia che non nasce oggi. E’ un primo passo molto importante, e da non sottovalutare viste le distanze esistenti nel Governo, pur non rappresentando ancora una vittoria vera.
La guerra contro lo sfruttamento, il caporalato, la schiavitù che spesso caratterizza le condizioni di lavoro in alcune realtà del nostro Paese è in campo da anni. Sono molte le associazioni, i sindacati, gli uomini e le donne impegnati in questa direzione. E’ grazie a loro, all’Osservatorio “Placido Rizzot-to”, ai Sindacati di strada, a Magistrati, a persone come Marco Omizzolo, ad Eurispes, alle denunce di Flai cgil e di Soumahoro Aboubkar, di giornalisti coraggiosi, e oggi sotto scorta, come Paolo Bor-rometi, al lavoro di Terra!, o di Oxfam sulle filiere, che disponiamo di dati, che conosciamo meglio la situazione di quei circa 180000 uomini (e donne) migranti che durante le raccolte vivono negli ac-campamenti rurali informali, o nei ghetti. Parliamo di tante realtà del Paese, Puglia, Basilicata, Sicilia, Campania, Lazio..ma sono poche le Regioni risparmiate da sfruttamento e lavoro nero in agricoltura. Secondo il rapporto sulle Agromafie, il fatturato delle mafie attorno a caporalato, sfruttamento dei ter-reni per smaltire rifiuti pericolosi, e malaffare attorno al cibo, si aggira attorno ai 25 mld di euro, più o meno quanto una manovra di bilancio.
Le istituzioni ripetutamente hanno svolto indagini sul fenomeno, ascoltato imprese, sindacati, ammi-nistratori, commissari, magistrati. Anche per tutte queste ragioni nel 2016 è stata approvata una leg-ge importantissima, la 199 del 2016, fortemente voluta dagli allora Ministri Martina ed Orlando, con-tro il Caporalato che introduce importanti novità, che ha consentito indagini, arresti, che prevede in-terventi sugli alloggi e sui trasporti e che avrebbe dovuto varare la Rete del Lavoro Agricolo di Quali-tà che stenta un po’ a decollare pienamente. Le cause del caporalato sono molte, e sono note.
Invito chi ne abbia voglia a leggersi racconti, testimonianze, ricerche, audizioni parlamentari.
Qualche mese fa ho organizzato alla Camera la presentazione dell’ultimo lavoro di Marco Omizzolo, “sotto padrone. Uomini donne e caporali nell’agromafia italiana”. Alla presentazione erano presenti loro, “gli invisibili”, rappresentati da una delegazione di braccianti Indiani che lavorano nelle serre e nei campi dell’agropontino. Marco mi ha raccontato dell’emozione di questi uomini nel varcare l’ingresso di Montecitorio, e vi garantisco che anche per me è stato un momento toccante incontrarli, ascoltarli, promettergli un impegno che intendo rispettare.
Uomini. Dignità. Storie. Lavoro massa-crante. Condizioni di schiavitù, mancanza di igiene (altro che distanziamento sociale, lavaggio delle mani, dpi)…
Eppure è grazie a loro che molti prodotti arrivano sugli scaffali dei supermercati e poi sulle nostre ta-vole. Passando dai carrelli, e quindi dalle nostre scelte di acquisto, come raccontano bene Fabio Ci-conte e Stefano Liberti ne “Il grande carrello”.
Agromafie, una competizione esasperata al ribasso su grandi numeri, una concorrenza spietata e sleale contro le piccole imprese agricole del nostro territorio, la ricattabilità di immigrati irregolari, e di uomini e donne che non avendo alternativa finiscono nella mani dei caporali. Spesso tratta di esseri umani con un mercato internazionale. Mafie che hanno messo le loro mani sul cibo da tempo, attra-verso contraffazione, controllo dei mercati all’ingrosso, e, appunto dei mercati delle braccia. Braccia e corpi.
E anche dentro questa dimensione di sfruttamento c’è uno sfruttamento più grande delle donne, pagate (anche qui) meno dei braccianti uomini, che devono spesso sottostare ai palpeggia-menti dei caporali, a ricatti e violenze sessuali. Sono 40000 secondo la Flai Cgil le braccianti, Rume-ne, africane, indiane, e non dimentichiamo Paola Clemente (italiane). Le storie del Ragusano sono raccolte da giornalisti. A Vittoria il 40% dei braccianti è costituito da donne e la dimensione della vio-lenza è rappresentata in modo molto evidente da un numero altissimo di aborti cui queste donne so-no costrette a ricorrere. Ricatti sessuali, violenze, retribuzioni infime, condizioni di lavoro estreme. Ma il Lazio non fa eccezione, se Covid non ci avesse fermati, sarei andata ad incontrare con Marco un gruppo di lavoratrici Indiane proprio nell’agro pontino. Ma lo faro appena possibile.
Sono tanti i racconti, e servono per ricordare che stiamo parlando di persone, di storie personali, di viaggi, di sogni, di speranze e di miseria.
Quanto inserito nel decreto fermerà tutto questo? Purtroppo non basterà. Ma si è aperta una porta, e quella porta va tenuta spalancata, bisogna farla attraversare dal maggior numero di lavoratori e lavo-ratrici, e continuare a lavorare per aprirla ulteriormente.
Le novità sono importanti. Si consente alle imprese che hanno alle loro dipendenze lavoratori irrego-lari di potersi regolarizzare, avere quindi un contratto, ed alla conclusione di quel contratto un lavora-tore può restare per la ricerca di un ulteriore lavoro fino ad un anno. Questa possibilità è anche nelle mani dei braccianti stessi. Si consente a chi è senza permesso di soggiorno di poterlo acquisire per la ricerca di lavoro se si è già svolto anche solo un giorno di lavoro in passato (ed in agricoltura è possibile avere contratti anche per un solo giorno di lavoro). Si prevede che le Regioni intervengano per gli alloggi utilizzando le risorse già a disposizione del tavolo sul caporalato, circa 85 milioni, e possono essere coinvolti nella sistemazione degli alloggi sia Protezione Civile che Croce Rossa. La regolarizzazione è consentita per un ventaglio ampio nei settori agricoli, della pesca, della zootecnia, dell’acquacoltura e di tutte le attività connesse.
Certo, avrei preferito che si affrontasse il superamento dei decreti Salvini o che si lavorasse ad un nuovo testo sull’immigrazione. Avrei voluto come tanti altri che il riconoscimento della dignità di que-ste persone, uomini e donne, avvenisse con un testo vero, dedicato al fenomeno migranti, con una discussione parlamentare degna di un passaggio di civiltà come quello che servirebbe in un tempo nel quale occorre alzare lo sguardo ed aver il coraggio di immaginare e progettare il futuro, in cui la sinistra, con il suo ventaglio di valori, può fare la differenza per il destino delle persone.
Ma sono anche consapevole che oggi, la Sinistra da sola non ha i numeri ne le condizioni per questo passaggio. E nelle condizioni date, con posizioni assai distanti dentro al Governo, io credo che que-sta mediazione sia un risultato onorevole da cui partire. Un risultato per il quale ringraziare le Mini-stre Bellanova e Lamorgese, e, per il grande lavoro di mediazione il Ministro Provenzano. Io non sot-tovaluto il risultato, pur consapevole che servirà ancora impegno per sostenere i migranti nel percor-so di regolarizzazione. Non so stimare i numeri della emersione, sui quali so bene esserci posizioni ed interpretazioni differenti anche tra le stesse associazioni e sindacati, ma è un punto di partenza che innova.
Dobbiamo continuare e non desistere rispetto ad obiettivi più grandi. Dobbiamo lavorare sulla ragioni dello sfruttamento, economiche, sociali e culturali. Dobbiamo far si che quella legge contro le aste, il sottocosto e per le filiere etiche e trasparenti (di cui mi onoro di essere proponente) già approvata alla Camera venga licenziata dal Senato. Dobbiamo sostenere quelle esperienze di filiera nate proprio dalla fuoriuscita dal caporalato. Dobbiamo far comprendere a chiunque fa la spe-sa che il cibo ha un valore, e che dietro a quel cibo ci sono imprese, lavoro, cura della terra che deb-bono essere giustamente remunerati, e che quando non avviene, qualcuno paga quel costo. Prezzi troppo bassi debbono farci capire che il sapore di quel cibo sarà quello delle sfruttamento, della con-correnza sleale, o delle mafie.
Pensiamoci, pensateci.
Questa è una battaglia giusta, sacrosanta, per gli uomini e le donne, per l’agricoltura buona e giusta, e per un Paese civile e democratico. Abbiamo compiuto un passo, ne faremo altri. Abbiamo vissuto mesi terribili in cui un ministro degli interni ha passato i suoi giorni tenendo al largo dei disperati in cerca di una possibilità, raccontando che l’invasione era alle porte. Oggi incredibilmente le condizioni sono cambiate, pur non essendo ottimali.
Un bellissimo proverbio messicano recita….“hanno provato a seppellirci, ma non sapevano che eravamo semi”.
Questa non è la fine, ma l’inizio di una battaglia. Cerchiamo di essere buoni contadini e di far ger-mogliare quei semi.
Susanna Cenni
Vice Presidente Commissione Agricoltura della Camera
19 maggio 2020