Il Covid ferma la rincorsa delle imprese femminili. IV Rapporto sull’imprenditoria femminile di Unioncamere, di Alessandra Tazza

Tra aprile e giugno le iscrizioni di nuove aziende guidate da donne sono oltre 10mila in meno rispetto allo stesso trimestre del 2019. Questo calo, pari al -42,3%, è superiore a quello registrato dalle attività maschili (-35,2%). Anche per effetto di questo rallentamento delle iscrizioni, sul quale ha inciso il lockdown, a fine giugno l’universo delle imprese femminili conta quasi 5mila unità in meno rispetto allo scorso anno. 

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Sono un milione e 340mila le imprese guidate da donne nel nostro Paese, il 22%del totale.

Queste imprese, negli ultimi 5 anni sono cresciute a un ritmo molto più intenso di quelle maschili: +2,9% contro +0,3%. In valori assoluti l’aumento delle imprese femminili è stato più del triplo rispetto a quello delle imprese maschili: +38.080 contro +12.704. In pratica, le imprese femminili hanno contribuito a ben il 75% dell’incremento complessivo di tutte le imprese in Italia, pari a +50.784 unità.

Anche se ancora fortemente concentrate nei settori più tradizionali, servizi commercio agricoltura, le imprese di donne stanno crescendo soprattutto in settori più innovativi e con una intensità maggiore delle imprese maschili. E’ il caso delle Attività professionali scientifiche e tecniche (+17,4% contro +9,3% di quelle maschili) e dell’Informatica e telecomunicazioni (+9,1%,contro il +8,9% delle maschili).

Di fronte al Covid, però, molte aspiranti imprenditrici devono aver ritenuto opportuno fermarsi e attendere tempi migliori. Tra aprile e giugno, infatti, le iscrizioni di nuove aziende guidate da donne sono oltre 10mila in meno rispetto allo stesso trimestre del 2019. Questo calo, pari al -42,3%, è superiore a quello registrato dalle attività maschili (-35,2%). Anche per effetto di questo rallentamento delle iscrizioni, sul quale ha inciso il lockdown, a fine giugno l’universo delle imprese femminili conta quasi 5mila unità in meno rispetto allo scorso anno.

Nelle regioni del Centro-Nord si registra la riduzione più consistente del numero di nuove imprese femminili (-47,0%). Il Mezzogiorno si “ferma” invece al -34,1%.

Il forte calo delle iscrizioni rischia anche di rallentare quel processo di rinnovamento che si stava realizzando in questi ultimi anni nelle generazioni più giovani. Un rinnovamento che emerge con chiarezza dall’indagine di Unioncamere realizzata su un campione di 2mila imprese di uomini e di donne, contenuta nel IV Rapporto sull’imprenditoria femminile. I dati, raccolti a ridosso dello scoppio della pandemia, analizzano la risposta di genere all’interno del mondo delle imprese giovanili di fronte ad alcuni temi chiave della competitività E mostrano alcune criticità che ancora permangono nel mondo dell’impresa al femminile

Infatti, le giovani donne d’impresa hanno una minore propensione all’innovazione rispetto ai coetanei uomini (il 56% delle imprese giovanili femminili ha introdotto innovazioni nella propria attività contro il 59% imprese giovanili maschili); investono meno nelle tecnologie digitali di Industria 4.0 (19% contro il 25% delle imprese giovanili maschili); sono meno internazionalizzate (il 9% contro il 13%); hanno un rapporto difficile con il credito (il 46% delle imprese femminili di under 35 si finanzia con capitale proprio o della famiglia).

Questi elementi di fragilità però si intrecciano con una realtà dell’imprenditoria femminile che condivide, in misura spesso più diffusa dei colleghi uomini, una serie di valori positivi e utili per gli sviluppi futuri.

L’impresa giovanile femminile, infatti, è più attenta all’ambiente, guidata soprattutto dall’etica e dalla responsabilità sociale: la quota delle giovani imprese rosa che investono nel green mosse dalla consapevolezza dei rischi legati al cambiamento climatico è superiore a quella dei giovani imprenditori maschili (31% vs 26%). L’attenzione al welfare aziendale è decisamente elevata tra le giovani imprese femminili, che, ad esempio, offrono maggiori possibilità di smart working ai propri dipendenti (50% tra le femminili contro il 43% di quelle maschili); hanno adottato in misura maggiore iniziative volte a sostenere la salute e il benessere dei propri lavoratori (72% contro 67%) e sono più propense a sviluppare ulteriormente attività di welfare aziendale nei prossimi tre anni (69% contro 60%).

Le giovani imprenditrici, la cui spinta a fare impresa deriva in misura maggiore rispetto agli uomini dal desiderio di valorizzare le proprie competenze ed esperienze professionali (24% contro 21%), danno lavoro di più ai laureati (41% contro 38%) e intessono rapporti più stretti e frequenti con la comunità territoriale (il numero medio di stakeholder con i quali l’impresa giovanile femminile intrattiene rapporti è pari a 3,81, contro 3,58 dei coetanei uomini).

Elementi che si muovono in direzione di un rinnovamento del nostro sistema economico che deve guardare alla sostenibilità, alla innovazione, alla comunità, alla persona. E che si riconnettono agli obiettivi indicati dall’Unione europea per la ripresa economica e per le future generazioni.

Anche nel settore dell’impresa il mondo femminile costituisce un serbatoio di potenzialità, di tenacia e di disponibilità verso il futuro da non sprecare. Le fragilità ancora presenti nell’esperienza imprenditoriale femminile vanno superate con politiche intelligenti e con esperienze condivise come fu, in tempi diversi, la legge 215 e con essa anche la nascita dei Comitati imprenditoria femminile che ancora oggi operano presso le Camere di Commercio, realtà unica in Europa.

La classe politica del nostro Paese è ora attesa alla prova più difficile: far ripartire il Paese con obiettivi nuovi e con sguardo lungimirante. Ci attendiamo che le donne vengano ascoltate e vengano considerate, finalmente, il motore prezioso di un nuovo sviluppo.

Se non ora, quando?

Alessandra Tazza

 

  

30 luglio 2020