La famiglia, le famiglie: l’attualità del pensiero di Nilde, di Anna Tonelli

Il testo completo della relazione svolta al convegno di Reggio Emilia il 19 settembre. "Al di là della sua esperienza personale che ha pagato inizialmente un prezzo alto per il suo essere politica, Nilde Iotti è stata una precorritrice nell’aver portato i sentimenti e il privato sulla scena pubblica e politica. Molto prima del personale è politico, lo slogan femminista degli anni ‘70".


“Ciò che rende morale nella coscienza popolare la formazione della famiglia è in primo luogo l’esistenza dei sentimenti”.

Partendo dalla frase scelta dagli organizzatori per orientare il tema “La famiglia, le famiglie: l’attualità del pensiero di Nilde” mi soffermo su due parole: morale e sentimenti. Due parole che hanno un significato specifico per la cultura comunista e che sono declinate in maniera del tutto originale da Nilde Iotti.

Partiamo dalla morale comunista. La cornice ideologica e politica entro la quale si muove Nilde è ancora quella del forte rigorismo comunista. Siamo in temperie post-resistenziale, nell’Italia repubblicana dove predominano le due chiese, cattolica e comunista, contrapposte sul piano ideologico e politico, ma convergenti sul piano della morale che confina con il moralismo, in una logica di disciplinamento adottata da entrambe e che non presenta visibili caratteri distintivi. I comportamenti trasgressivi, in pubblico e in privato, sono condannati da cattolici e comunisti con la medesima severità di accenti.

Anzi, in alcuni casi la serietà morale imposta dagli organi direttivi del Pci è ancora più rigida di quanto prescrivano le disposizioni cattoliche. Cambia però la prospettiva finale: per i cattolici il peccato, peraltro espiabile nella confessione, ha come effetto la sospensione dei sacramenti e la condanna alla pena ultraterrena, con il sacerdote a esercitare la responsabilità di intervento; per i comunisti che fanno dell’ideologia una religione laica, la trasgressione significa una deviazione dall’ideale politico e un tradimento della disciplina di partito, da scontare con l’estromissione dagli organi dirigenti e, talvolta, dal partito stesso.

Di questo rigorismo e opportunismo politico Nilde Iotti sarà una protagonista anche per la sua relazione con Togliatti, sulla quale sono già stati scritti testi di taglio scientifico che allontanano ogni rischio di morbosità e interpretazione non storica.

SENTIMENTI
È consuetudine dei militanti comunisti nascondere i sentimenti. Perché? Parlare di emozioni e sentimenti è proprio del costume borghese, e quindi contrario all’identità rivoluzionaria che si batte contro le degenerazioni «mondane» della società capitalistica.

I dirigenti comunisti sono chiamati a temperare i propri sentimenti in pubblico, evitando atteggiamenti mondani e troppo esibizionisti.
L’ispirazione ideologica parte da molto lontano, derivando dalla rigida posizione sostenuta da Lenin in tema di rapporti fra i sessi, in cui si sostiene che il comportamento privato possa costituire «un importante giudizio» riguardo alle «qualità di combattente e di compagno» del militante.

Chi indulge al sentimentalismo, lasciandosi trasportare dalle passioni, dimostra «debolezza politica», e non è degno di aspirare a ruoli dirigenziali. Il dosaggio delle emozioni si trasforma quindi nel lasciapassare politico, e costituisce il nocciolo di quella «moralità» comunista impostata su un senso di responsabilità che deve anteporre l’interesse del partito a qualsiasi desiderio di soddisfazione personale e individuale.

Esibire il lato emotivo costituisce per il militante comunista la prova di poca affidabilità politica, come se i sentimenti possano determinare una deviazione dalla retta tracciata dall’agire politico che richiede invece un controllo assoluto degli istinti e delle emozioni, ancora più stringente di fronte alla necessità di sfruttare tutte le energie utili a una lotta che non ammette distrazioni. Le uniche passioni consentite sono quelle legate alla battaglia politica e, in quanto tali, esulano dalla sfera riservata agli affetti privati.

Qualora un sentimento, un amore, un’unione possano pubblicamente danneggiare il partito, si deve mettere nel conto la rinuncia o almeno il nascondimento dentro il privato del militante.

Questo concetto è ancora più valido per le donne, alle quali si riconosce per tradizione e storia un eccesso nel sentimentalismo che induce le militanti a perdere di vista l’obiettivo finale (l’esempio delle scuole di partito è in questa direzione illuminante).
Questo è il contesto in cui si muove Nilde Iotti che però non scardina, ma in cui apre varchi di autonomia e modernità di pensiero. E l’idea di famiglia va proprio in questa direzione.

A questo proposito è fondamentale il suo apporto al dibattito all’Assemblea costituente quando nel settembre del 46, nella relazione alla I sottocommissione che si occupa del rapporto fra famiglia e Stato, Nilde introduce la definizione che diventa portante nella scrittura dell’art.29 che disciplina la famiglia:

La famiglia si presenta come il nucleo primordiale su cui i cittadini e lo stato possono e debbono poggiare per il rinnovamento materiale e morale della vita italiana e importanza fondamentale acquista la tutela da parte dello stato dell’istituto familiare.

Per Nilde Iotti è importante dunque inserire dentro la carta costituzionale il diritto dei singoli in quanto membri di una famiglia o desiderosi di costituirne una di ricevere una tutela da parte dello Stato.

A questo si aggiunge la centralità della donna, con la considerazione che la serietà e la dignità dell’istituto familiare saranno favorite dall’indipendenza della donna, non più costretta «a vedere nel matrimonio un espediente talora forzato per risolvere una situazione economica difficile e assicurarsi l’esistenza, ma la soddisfazione di una profonda esigenza naturale, morale e sociale, e lo sviluppo e coronamento, nella libertà, della propria persona».

Una riflessione che poi porta al riconoscimento del matrimonio come risultato dell’eguaglianza giuridica dei coniugi.
L’art. 29 contempla infatti tre questioni: uno propriamente la famiglia stessa; il secondo riguarda il matrimonio, il terzo la prole.

Sul matrimonio, è nota la battaglia Sul termine indissolubile. Quella dell’indissolubilità è una parola chiave, soprattutto per i cattolici, che gli esponenti comunisti non vorrebbero accettare, senza però dar adito alle inevitabili critiche sulla presunta volontà del PCI di preparare il terreno per il divorzio. La via d’uscita per sopprimere la parola «indissolubile» evitando di attirarsi l’appellativo di divorzisti e cercando di non entrare in collisione con la Democrazia cristiana, viene trovata da Togliatti che liquida la questione come «un problema non costituzionale».

In questa cornice, vanno attribuiti alla dirigente comunista passaggi di grande innovazione e modernità. Ma per capire il nesso fra famiglia e sentimenti in tutta la sua portata bisogna spingersi agli anni ‘60 in cui Nilde Iotti trova ancora una volta il modo di anticipare i tempi e anche le battaglie il movimento femminista. Basta prendere l’intervento alla Terza conferenza delle donne comuniste, nell’aprile 62.

In un momento in cui si parla di crisi della famiglia e dai fronti conservatori si cerca di attribuire la responsabilità alle donne che lavorano, Nilde insiste sul cambiamento dei tempi e sulla fine della vecchia famiglia gerarchica e autoritaria. E citando Gramsci, dice che i comunisti concepiscono la famiglia «come centro morale basato sull’uguaglianza di due individui, sulla libertà della scelta, sulla parità».

E poi riprendendo il Concilio Vaticano II in cui viene posta la questione dei sentimenti come base morale del matrimonio cristiano, si spinge ancora più in là a indicare le linee per una riforma dell’istituto familiare (IV Conferenza delle donne comuniste, giugno 1965) dove il tema dei sentimenti è centrale.

Il salto di qualità è il medesimo. Finora si è sempre data la precedenza a un matrimonio che doveva regolare i rapporti economici e di sussistenza. Ora Nilde parla apertamente di “famiglia basata sul matrimonio voluto in nome dei sentimenti profondi dell’animo umano e tutta la sua vita è per noi vincolata all’esistenza di questi sentimenti”.

Non si tratta di sentimentalismo, ma di una concezione moderna dove l’educazione ai sentimenti rientra in un progetto di cultura politica (“i compiti educativi della famiglia riguardano anche l’educazione dei sentimenti verso i coniugi e verso i figli che non può essere risolta dalla cura materiale di essi e neppure da un semplice rapporto affettivo, ma all’interno di un rapporto fra società e famiglia”). E quali sono questi sentimenti che non sono appunto solo affetti? “Sono sentimenti di libertà di uguaglianza di solidarietà”.

Da questi pensieri discendono poi atre considerazioni che vanno a lambire la discussione che di lì a poco avrebbe portato poi al divorzio, al riconoscimento dei figli fuori dal matrimonio, sulla riformulazione del diritto di famiglia sui quali non entro. Ma sottolineo come all’inizio degli anni ‘60 Nilde Iotti è una delle poche a sostenere a gran voce l’arretratezza dell’Italia che non contempla la possibilità dello scioglimento del matrimonio (“un anacronismo nel mondo moderno”).

CONCLUSIONI
Torno alle due parole iniziali. Morale e sentimenti. Nilde Iotti ha saputo unire la sfera pubblica e privata in un connubio molto complicato nell’etica comunista. La dimensione totalizzante della militanza scandisce una scala di valori che determina anche le scelte personali che coinvolgono altri ambiti privati, come quello affettivo e familiare. Ma al di là della sua esperienza personale che ha pagato inizialmente un prezzo alto per il suo essere politica, Nilde Iotti è stata una precorritrice nell’aver portato i sentimenti e il privato sulla scena pubblica e politica. Molto prima del personale è politico, lo slogan femminista degli anni ‘70.

Un modo per capire il suo tempo e adattare leggi provvedimenti e riflessioni al mondo che cambia. L’ha fatto fino all’ultimo, basta pensare alla proposta di legge del ‘98 che ha elaborato insieme ad altri (Lucio Colletti, Marco Tardash, Giovanna Melandri e Pietro Folena) intitolata “Disciplina delle unioni affettive” che conciliava l’art. 29 con la legittimazione delle unioni sentimentali tra persone dello stesso sesso.

Per questo la sua concezione della famiglia e delle famiglie è un manifesto che ancora oggi vale la pena di essere appeso nelle nostre coscienze. E bene ha fatto questa giornata a ricordarlo e a rimetterlo sui muri.

Prof.ssa Anna Tonelli
Ordinario Storia contemporanea – Università di Urbino Carlo Bo

23 settembre 2020