Il bilancio di genere 2019, di Alessandra Tazza

Illustrato recentemente dalla sottosegretaria al Mef Maria Cecilia Guerra in sede parlamentare, contiene dati sul divario di genere nella economia e nella società, sulla incidenza della spesa pubblica in riferimento al superamento delle disuguaglianze uomo/donna, sulle azioni realizzate dalle diverse amministrazioni pubbliche.

Il testo dell'Audizione.


Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria al Ministero Economia, ha recentemente illustrato in sede parlamentare il Bilancio di genere per l’esercizio finanziario 2019.

Il Bilancio di genere è stato introdotto nel 2009 ed é uno strumento fondamentale per valutare il diverso impatto che le politiche pubbliche hanno sulle donne e sugli uomini. Esso contiene dati sul divario di genere nella economia e nella società, sulla incidenza della spesa pubblica in riferimento al superamento delle disuguaglianze uomo/donna, sulle azioni realizzate dalle diverse amministrazioni pubbliche.

Il confronto con gli altri paesi europei
L’Italia è il Paese che ha registrato i maggiori progressi nel periodo 2005-2017 ( i parametri sono riferiti a lavoro,denaro,conoscenza,tempo,potere decisionale, salute , più disuguaglianze incrociate e violenza di genere) portandosi al 14° posto su 28 paesi
Tuttavia nel campo specifico del lavoro l’Italia resta all’ultimo posto sia come partecipazione al mercato del lavoro che come qualità e prospettive del lavoro femminile.

Il mercato del lavoro in Italia
Il tasso di occupazione femminile nel 2019 è del 50,1% (quello maschile del 68%) al Nord è pari al 60,4% nel Mezzogiorno è al 33,2%. Come si vede una grande distanza tra uomini e donne e a livello territoriale.
Da aggiungere che il tasso di mancata partecipazione al lavoro (un parametro che misura anche la disoccupazione latente) è più alto per le donne più giovani (33%) contro il 19,2% per le classi di età 45-54 anni.

Per quanto riguarda i settori quasi il 40% delle donne sono impegnate nel commercio,
nella sanità ed assistenza sociale e nell’istruzione.’ Tra le donne che lavorano cresce il ricorso al part time (32,9%) ed è dell’11,5% l’incidenza di lavori con bassa paga.
Il quadro e’ ancora molto problematico anche a fronte di un crescente livello di istruzione delle giovani donne. Le cause vanno cercate in diverse direzioni: una crisi che riduce i posti di lavoro, un sistema-lavoro che non promuove le donne sia in termini di salari che di possibilità di carriera ma anche una organizzazione sociale che non favorisce la conciliazione lavoro e cura familiare e per questa via penalizza le donne.

Questo sistema produce effetti molto negativi per la crescita economica nel suo insieme: meno occupazione femminile meno Pil, meno sviluppo del territorio , numero crescente di giovani donne con alto livello di istruzione che se ne vanno dal nostro Paese. Una perdita secca per tutte e per tutti.

Conciliazione lavoro e cura familiare

Più di un terzo delle persone che lavorano (uomini e donne) manifesta difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia in presenza di figli piccoli. Tuttavia sono prevalentemente le donne ad attivare strategie che “sacrificano” i loro lavoro, dal part time fino alle dimissioni volontarie (il 73% dei casi sono giovani madri).
Negli ultimi anni è aumentato il ricorso ai congedi parentali da parte degli uomini. Nel 2019 i congedi parentali sono stati chiesti da circa 63000 uomini a fronte però di una richiesta delle madri pari a oltre 233000. E questa differenza la dice lunga su quanto c’è ancora da lavorare per raggiungere una reale condivisione delle responsabilità familiari.

Del resto la realtà dei servizi per l’infanzia non aiuta! La percentuale dei bambini con meno di tre anni che possono usufruire di asili nido pubblici, al 2017 è del 12,5%. Inoltre l’offerta dei servizi per la prima infanzia sia pubblica che privata raggiunge un tasso di copertura del 24,7% (molto più basso nel Mezzogiorno) desolatamente lontano da quel 33% che era stato posto come obiettivo a livello europeo per il 2010.

Quanti ritardi! E quanta miopia della nostra classe politico-amministrativa rispetto ad un settore che è di sostegno alle famiglie e nello stesso tempo genera occupazione e prevalentemente occupazione femminile. Abbiamo visto tanta solerzia nel costruire stadi, centri comerciali a gogo’, ecc, e se invece facessimo gli asili, se impegnassimo risorse nel settore della cura delle persone? Magari potremmo perfino contribuire a rendere più facile e meno ansiogena la vita di tante persone e migliore la società nel suo complesso.

Violenza di genere
In Italia il 31,5% delle donne ha subito violenze fisiche o sessuali nell’arco della propria vita, prevalentemente da parte del proprio partner o di membri della famiglia,
Questo dato ci parla di un contesto culturale ancora grave e fortemente penalizzante per le donne. Permane un’ idea di possesso della donna da parte dell’uomo e di destino femminile legato a ruoli di sottomissione e non di piena realizzazione di sé.

C’è ancora molto da lavorare su questo terreno, un compito che coinvolge donne e uomini!
Come pensiamo di costruire una società più equa se non cerchiamo di costruire tra donne e uomini relazioni fondate sul rispetto e sul reciproco riconoscimento?

Il bilancio dello Stato in una prospettiva di genere
Per quanto riguarda le politiche tributarie ( le entrate) si rileva che il reddito medio delle donne rappresenta circa il 59,5% di quello degli uomini, di conseguenza l’aliquota media delle donne risulta più bassa di quella degli uomini.
Anche questo dato mette in evidenza le difficoltà delle donne sul mercato del lavoro, Retribuzioni inferiori spesso a fronte di flessibilità necessarie a prestare il lavoro di cura in famiglia.

Dal lato delle poitiche di spesa dello Stato quelle mirate a ridurre disuguaglianze di genere sono stimate nell’ordine dello 0,3 % del bilancio statale escluse le spese del personale, pari a ca. due miliardi di euro ed è concentrate in ambito assistenziale. A queste vanno aggiunte spese che hanno effetti indiretti ( Il 16,4%) ad es, trasferimenti ad altre amministrazioni per finanziamento contributi monetari a individui e in minor misura ad imprese.

Risorse alquanto ridotte si direbbe, anche se probabilmente questa parte del bilancio di genere come strumento di monitoraggio andrebbe meglio definita per cogliere con più precisione il peso delle politiche a favore del superamento delle disuguaglianze di genere.
Vanno affinati i dati disponibili e occorre che le diverse strutture amministrative dello Stato siano consapevoli dell’importanza di una lettura di genere delle politiche pubbliche.
A maggior ragione in un periodo di crisi come questo.

La terribile pandemia, la crisi economica e sociale, l’incertezza e anche la paura per il futuro debbono trasformarsi in una spinta ad usare la creatività che ha sempre accompagnato l’avventura umana.

E questa volta le donne, le loro esigenze e le loro ragioni non possono/ non devono restare un passo indietro. Lo verificheremo presto con i progetti che saremo in grado di presentare per accedere ai finanziamenti del Recovery Fund.

Alessandra Tazza

28 ottobre 2020