Una corona di mimose sull’Altare della Patria
Per la prima volta in occasione della Giornata della Donna, oggi alle ore 10.30 quaranta donne italiane e immigrate si recheranno insieme, su invito di Livia Turco e della Fondazione Nilde Iotti, all’Altare della Patria dove deporranno una corona di alloro e mimose in segno di condivisione dei valori fondanti della Repubblica italiana e per ribadire la comune battaglia per i diritti, la dignità, contro la violenza e per una cittadinanza inclusiva delle differenze.
Non deve sorprendere che donne italiane e immigrate trovino in un luogo simbolico – l’Altare della Patria – un momento per condividere valori comuni. Dopotutto, nei secoli, gli incontri ci sono sempre stati e le italiane hanno spesso mostrato un interesse per l’Oriente. Interessi in prima battuta estetici e commerciali (ma anche culturali), poiché gli abitanti della nostra penisola hanno importato per secoli stoffe preziose tessute a Damasco, sete cinesi che avevano percorso le vie dell’Asia Centrale, e spezie di diversa provenienza trasportate sui dhow che veleggiavano sull’Oceano indiano.
Oggi, le contaminazioni sono a più livelli e bidirezionali. Pensiamo agli scambi estetici: se alcune immigrate osano togliere il velo o ne scelgono di più leggeri e colorati, le italiane non esitano a indossare capi d’abbigliamento e gioielli etnici, arredando le loro abitazioni con soprammobili esotici e kilim colorati. Vi sono poi gli scambi culinari, che portano le immigrate a cucinare la pasta (peraltro diffusa anche in Oriente) e le italiane a cimentarsi con il cuscus. Senza dimenticare le contaminazioni culturali in senso stretto: se le immigrate fanno di necessità virtù e imparano la lingua di Dante, sono tante le italiane che decidono di apprendere gli idiomi orientali e si avvicinano a culture diverse.
Tutte queste contaminazioni sono frutto dell’esigenza di conoscere l’altro per vivere meglio. Ma non sono una novità: gli scambi tra popoli e civiltà ci sono sempre stati. E gli immigrati non sono un’invenzione del nostro tempo. La novità sta nei diritti (diritto all’istruzione e alla salute, diritto di voto, diritto al divorzio, diritto di passare la propria cittadinanza ai figli, diritto all'aborto, riconoscimento dello stupro come reato contro la persona, per citarne alcuni) che le giovani donne rischiano di dare per scontato e che le generazioni precedenti hanno invece acquisito, a fatica, nel corso del Novecento, soprattutto grazie alla crescente separazione tra Stato e Chiesa.
In una società multietnica e multireligiosa come la nostra, la laicità dello Stato è il fondamento della democrazia. L’Italia è ormai meticcia, attraversata da diseguaglianze che rendono le nostre vite più esposte a rischi ma allo stesso tempo più aperte verso nuove forme di esistenza politica. Scriveva Machiavelli nei Discorsi che, alla base di una sana vita repubblicana, esistono le infinite dissensioni tra le parti della città, e perciò rischio e conflitto sono ingredienti strutturali di una società civile. Coloro che condannano la nostra società multiculturale auspicano una società senza rischio, vale a dire senza il rischio insito nella diversità.
Ma la tradizione liberale e democratica dell’Italia e dell’Europa non teme il rischio. L’appello a una società senza rischio, senza conflitto e quindi senza diversità è, del resto, in linea con il pensiero totalitario del secolo breve che ci siamo lasciati alle spalle e che oggi tanti arabi stanno combattendo nelle loro primavere. Se oggi le donne che si troveranno all’Altare della Patria esprimeranno una comunanza di valori, ben venga. Ma qualora emergessero delle differenze, queste non dovranno farci paura. Perché sono le dissensioni ad arricchire la nostra società.
Farian Sabahi
08 marzo 2012