In memoria di tante donne che donarono la propria vita nel loro posto di lavoro negli Stati Uniti d’America, nasce questa data, 8 Marzo, data che non definirei festa, bensì commemorazione della donna.
Oggi, dopo tanti anni in cui si è commemorata la figura della donna, chiamerei la ricorrenza dell'8 marzo “La difesa dei diritti della donna”, diritti che spesso le vengono negati: diritto ad un lavoro dignitoso, ad una integrazione socio-culturale, ad una maternità che dia serenità ai loro cari figli, alla progettazione di un futuro più sicuro, diritti che vengano incontro a tante altre difficoltà che impediscono ad una donna di raggiungere la meta che come un sogno si è programmata.
Sono tante la donne immigrate che hanno lasciato il proprio paese alla ricerca di uno sbocco per i cari figli, del loro sviluppo integrale, venuto a mancare in attesa del rilascio di un permesso di soggiorno. Sono tante la mamme che hanno smesso di credere nel sogno di sentirsi integrate come semplici persone con i propri valori, la propria professione portata dentro i loro bagagli, donne che vogliono mettere in campo la loro esperienza, la loro creatività, i loro servizi nella convivenza sociale e culturale del paese che le accoglie. Tutto rimane un sogno di speranze, ma questo non le ferma. Vogliamo vivere con dignità, dare spazi a nuove sfide d’integrazione, di testimonianze con le buone prassi che aiutino a un sviluppo continuo di cittadinanza attiva e partecipativa, inclusiva e non dispersiva.
Oggi non si può dire che questo momento non è storico. Salire sul Altare della Patria, è per me e per tante donne immigrate un sogno, un grande orgoglio per noi tutte donne presenti e dedico questo momento a tante mamme che hanno lasciato la loro vita in questa terra Italiana: Jiosiara del Brasile, Luzmila del Perù, Inesita della Colombia, Blanca Lizette del Nicaragua, Nohelia delle Honduras, Katerina del Costa Rica. Queste ultime due sono state giovani ragazze il cui sogno era quello di conquistarsi una vita diversa, una vita nuova nella patria italiana. Sì, il sogno continua non solo per le donne adulte ma anche per le giovani generazioni di ragazze e ragazzi che sin dalla tenera età hanno lasciato la patria d’origine e che oggi sono adolescenti e adulti che continuano a voler essere “italiani”, che aumentano il loro impegno nello studio, nel raggiungere l’integrazione nella società che li accoglie, che si dimenticano della squadra di baseball del proprio paese d’origine e fanno sventolare invece la “Bandiera Italiana” per quella nazionale nel proprio paese di nascita, per essere tifoso della squadra del calcio della città scelta, o dal giocatore preferito. La corsa è verso la cittadinanza desiderata, sia nati in Italia che all’estero, tutto per raggiungere l’appartenenza cittadina, sentirsi figli di una patria che li sappia accogliere, di una società che entri in sintonia con il diverso, che sappia camminare percorrendo quotidianamente la strada del diritto e del dovere, evidenziando un bisogno, chiedendo tutto ciò che si ritiene giusto e rifiutando quello che si ritiene equivoco, insomma, la strada è lunga, ma, può diventare molto ricca se si sa accettare che dentro l’immigrazione esiste un’attenzione particolare alla buona condotta, ai valori, alla fede, alla cultura, e, perché no, all’amore verso il paese che accoglie e la società che lo compone. Si tratta di esseri umani per cui tutto ciò non può venire a mancare, se davvero vogliamo un mondo diverso, un mondo nuovo che abbia l’obiettivo di esseri umani, perché di questo si tratta, esseri umani con piedi e passi che fanno muovere il mondo verso l’unità, con un impegno politico e sociale comune a tutti, e permettetemi di dirvi: sin da piccola (quando avevo 9 anni, oggi ne ho 62) tanti anni fa, la mia nonna mi diceva che l’Italia è un paese cristiano e durante la mia preparazione catechista per fare la prima comunione, nel Credo, si recitava: “credo nella Chiesa cattolica e Romana” E per finire posso dire che anche la Chiesa oggi, ci dice: “Fare nuova la Chiesa con una nuova evangelizzazione” e io come fedele cittadina mi confermo un’evangelizzatrice nel posto di lavoro, nelle piazze, dentro la Chiesa, e in primis, in casa mia con i miei figli.
Donare la serenità, la felicità ad un’altra persona è un dovere cristiano; è una responsabilità civica e politica per la crescita del paese dare il senso di appartenenza ed identità. Questo crea speranza in ogni migrante, la speranza che un giorno arriverà il congedo della cittadinanza a giovani cittadini cresciuti e formati nel contesto educativo italiano e anche quei bambini nati nella Patria di Dante e di Cristoforo Colombo che non rinunciò a capire che stava in una terra di altri e cercò di prendere possesso dell’idea della scoperta, di un posto diverso, ma ricco di tante cose inaspettate, ma il suo scopo ebbe fine e venne ammirato per la scoperta, ma cosa cercava lui, cosa ha trovato? Certamente ha trovato la diversità delle persone che già abitavano la terra, i loro diversi modi di adorare un Dio, la loro diversa cultura e così via. Oggi posso dire che la diversità è qui, con l’immigrazione, la paura del diverso deve essere seppellita subito, la credibilità di donne e uomini immigrati deve dare fede ad una società nuova, viva e attuale.
Concludo ringraziando chi ha ideato questo bello ed importante momento, che farà parte della mia storia personale e che per i miei figli e per le nuove generazioni sarà un esempio umano ed una speranza per il loro futuro.
“Oltre che una mimosa,
la speranza del mondo nuovo”
“Sei tu donna che hai lasciato
la tua fotografia sullo specchio
del futuro delle nuove generazioni”
Lidia Obando
06 marzo 2012